Non è vero che in questo blog parliamo solo di fighe. Parliamo anche di fighe che ce la sanno. Proprio come nel caso di Grace Potter e Taylor Momsen, due sgnoccolone notevoli di cui ci occuperemo senza indugio con il collega Daniel Day Cavanagh nelle righe che seguiranno. Figurati se non lo facevamo noi. E chi sennò? I fratelli Tavernello? Tsè.
James says… No, ve lo devo dire. Sapete cos’ho pensato la prima volta che ho ascoltato cantare Grace Potter? Bè, immaginatevi un appartamento in riva al mare, e una stanza da letto con la luce del sole al tramonto che filtra dalla persiana abbassata a metà; poi immaginatevi miss Potter che mentre canta qualcosa del genere, fra una strofa e l’altra vi chiede di sodomizzarla ma con delicatezza. Romantico vero? Di meglio c’è solo la caccia allo sparviero di montagna armati di palline di carta umide e una Bic per sputarle. Forse. Eppure non sono io il maniaco. E’ il suo timbro vocale che provoca, giuro. La signorina Potter è nel giro già da un po’ a quanto pare, e se arrivi a condividere il palco con gente come Black Crowes, Gov’t Mule, Joe “bellicapelli” Satriani e tutto il cucuzzaro significa che qualcosa forse forse la sai fare. E’ vero, la copertina di questo terzo parto in studio è l’emblema dell’equazione “pelo pubico esposto=più dischi venduti=villa di lusso con filippina e Lamborghini annessi”, ma quella che ad un occhio distratto potrebbe sembrare come l’ennesima passera scopaiola con ben poche qualità tecniche al di fuori della stanza da letto, in realtà è una signora cantantessa con du palle così sotto. Possino cecamme se dico boiate. Il corredo soul e rock settantiano che la signorina Potter si porta dietro è sempre fieramente esposto, così come anche le sue cosce meravigliosamente tornite onnipresenti in ogni suo videoclip per la gioia dei nostri occhi; ma questo è un altro discorso, come direbbe il buon Lucarelli. Si respira aria di seventies ascoltando questo disco. Ma parecchia. E questo è un bene, perché pezzi come ‘Paris’, ‘Medicine’, ‘Tiny Light’, ‘Only Love’ o l’ottimo uno-due ‘That Phone’/‘Hot Summer Nights’ hanno un groove tutto di quegli anni che ormai raramente si respira. La sezione strumentale c’è; magari non fa quadrupli salti mortali con avvitamenti vari e atterraggio di culo su una bottiglia di Wild Turkey, ma è ben presente e ricrea egregiamente il feeling di quegli anni; il merito di ciò va sia all’abile Scott Tournet alla chitarra -personaggio dal discutibile taglio di capelli ma che ci sta simpatico lo stesso-, sia al vigoroso Matt Burr alla batteria che è sputato al Dennis Hopper di Easy Rider, ma soprattutto il merito va al colonnello Potter che in sala prove impartisce disposizioni con polso di ferro, e che impreziosisce il tutto con un risolutivo Hammond di altri tempi che è sempre un piacere ascoltare. La voce manco a dirlo c’è anche lei. Grace ha un timbro vocale del porcoddue (mi si perdoni l’eufemismo), sensuale come una centralinista delle hot-line quando vuole, e aggressiva come la nonna zoppa dell’immensa Aretha Franklin quando serve. Una voce che sprizza sensualità ed energia ad ogni nota, qualità peculiare di gente come Tina Turner, Ella Fitzgerald, Julie London o Diana Krall, giusto per capirsi. Devo ancora incenerire il mio ultimo paio di mutande ormai inutilizzabile sin dall’ultima volta che ascoltai la seconda metà di ‘Tiny Lights’. I pezzi funzionano, c’è poco da fare. Certo, la miscela della Potter non offre niente di veramente nuovo dato che le sue influenze principali raggiunsero il loro apice circa trenta/quaranta anni fa, ma la sapienza di chi è coinvolto in questo progetto fa si che tutto risulti fresco e assolutamente di qualità, compito molto arduo dato il genere proposto. Questo disco omonimo potrebbe benissimo dominare indiscusso nel regno dei dischi che dominano indiscussi se non fosse per qualche alone che ne intacca l’armonia, come qualche pezzo un po’ più debole degli altri, diciamo riempitivo, o come qualche passaggio forse non molto azzeccato; ma siamo nell’ordine di due su tredici e comunque neanche da buttare completamente via. Ma ancor più probabilmente fa tutto parte di un disegno molto più grande che solo i Massoni, Milly D’Abbraccio e Roberto Giacobbo possono conoscere ed eventualmente spiegarci. Se gli va. Insomma, cagate a parte Grace Potter e i suoi “Crisantemios” hanno dimostrato di saperci fare un bel po’, e se si continua così ne vedremo delle belle. Se no giuro che divento francescano scalzo.
Citazione che ce la sa: “If I was a man I’d make my move. If I was a blade I’d shave you smooth. If I was a judge I’d break the law. And if I was from Paris… If I was from Paris I would go: oh-la-la-la-la-la-la”
Daniel says… Alle volte basta un “viva la figa!“. Ben assestato. Quando uno proprio non se lo aspetta. Ecco, la mia storia d’amore con i The Pretty Reckless è iniziata così, saltellando su youtube alla ricerca di un singolo che potesse ravvivare un’uggiosa giornata di inizio autunno. E poi è arrivata lei, Taylor Momsen, anni 17 (per la maggiore età aspettiamo fiduciosi il prossimo 26 Luglio), che mi è apparsa in video con una roba così. Rullo di tamburi…
Non ci vuole una Mara Maionchi o un Desmond Child qualsiasi per capire al volo un paio di cosette, senza nemmeno sforzarsi di ascoltare tutto il cd (del quale vi parlerò in seguito, promesso). Primo: ma l’avete vista, tra teschi e reggicalze, quant’è a suo agio la Momsen davanti alla telecamera? La storia narra che la piccola Taylor, a 3 anni, aveva già debuttato in uno spot pubblicitario della Kraft, per poi apparire in film e serie televisive anche di una certa rilevanza. Siccome cago il cazzo, vi dico che me la ricordo bene solo in ‘Paranoid Park’ di Gus Van Sant, mentre Gossip Girl non voglio nemmeno sapere cos’è. Secondo: sì, la nostra gioca a fare la zozzona, e il fatto che sia ancora minorenne la agevola un pochetto. Il trinomio rock, fica e trasgressione non è affatto nuovo, e visto che parliamo di rock palesemente influenzato dall’attuale post-grunge, è impossibile non rivolgere un pensierino affettuoso alla vedova più famosa della storia del rock. Che pure lei, tra un tribunale e l’altro, si è dilettata col cinema. E con risultati notevoli, perlomeno quando a dirigerla c’era il Milos Forman di ‘Man on the Moon’ e ‘Larry Flynt – oltre lo scandalo’. Bastasse la prima impressione, sarebbe lecito accostare la Momsen a una Courtney Love dei giorni nostri, senza cadavere a carico (diamole tempo). Impressione corroborata dall’ascolto di ‘Light Me Up’, primo studio-album a nome The Pretty Reckless. La puzza di bufala colossale lascia subito il posto all’uno-due iniziale che non ti aspetti: ‘My Medicine’ e ‘Since You’re Gone’ sono infatti due pezzi stranamente groovy e carichi di dissonanze modern-rock, e se non è proprio l’ultima cosa che pensi di ascoltare nel disco d’esordio di una diciassettenne, poco ci manca. Forse la biondina non è una diciassettenne qualunque. Anche perché alla domanda “cara Taylor, oltre alla voce e alla bella faccia, cosa c’è di tuo in questo dischetto?” lei potrebbe rispondere sventolando i credits del disco, che citano lei come autrice di tutti i brani, assieme al chitarrista Ben Phillips e al produttore Kato Khandwala, uno che negli ultimi anni ha avuto per le mani i lavori di Breaking Benjamin, Drowning Pool e Paramore. Almeno sulla carta, le irriverenti lyrics sono farina del sacco della Momsen, mentre gli arrangiamenti e la splendida resa di pezzi come i due singoli ‘Miss Nothing’ e ‘Make Me Wanna Die’ ci obbliga ad annotare l’indirizzo del signor Khandwala sul taccuino della gente che un giorno conterà qualcosa. Nel frattempo ci godiamo per intero l’ascolto di ‘Light Me Up’, che dopo l’accattivante title-track e il light-metal lussurioso di ‘Goin’ Down’, chiude in sordina con un bel lento (‘You’) e un paio di pezzi messì lì giusto perché bisognava arrivare a quota dieci. Ed è inutile che sbuffate. Gli Iron Maiden coi riempitivi ci campano da quasi dieci anni, e nessuno dice niente. Vigliacchi. Certo, la nostra Taylor deve ancora farne di strada per arrivare ai livelli di, che ne so, una Juliette Lewis. Però la ragazza ha dalla sua l’età e un talento cristallino. Aspettiamo fiduciosi, rigorosamente al grido di “viva la figa!”. Il resto è noia.
Citazione che ce la sa: “Hey there, Father, I don’t wanna bother you but I’ve got a sin to confess. I’m just 16 if you know what I mean. Do you mind if I take off my dress?”